Esergo

Da qualche parte, su un pianeta qualunque di una galassia qualunque, nelle budella elettroniche di un server qualunque, un certo quantitativo di energia viene speso per mostrarti questo.

Si potrebbe dire che nulla succede per caso, oppure che tutto succede per caso: dal punto di vista di chi scrive, ciò non farebbe alcuna differenza. Intendiamoci: “caso” è solo una funzione epistemica, vale a dire il segnaposto di una scrollata di spalle e di un’ammissione di ignoranza. O no? Una buona questione dalla quale partire.

Il motivo è che non so procedere se non all’indietro, non so costruire se non scavando abissi. Per questo scelgo il nome di quella casa che in realtà è il quartier generale del senza-quartiere, la risultanza della ribellione nella forma di contro-vetta, l’inversione della superbia.

Che cos’è il diabolico, dopo la morte di Dio? E davvero ci siamo fermati a questo: alla putrescenza di Dio? Basta annullare il Tutto per annullare lo spettro del Niente? Ovvio che no. Il Niente è ciò che annienta, e il nulla è ciò che annulla. Ma c’è ancora un residuo: quelle tre lettere accentate di troppo: il “ciò”. Non c’è niente che annienti nell’annientamento: solo dell’annientato si può parlare. E che cos’è questo annientato, questo precipitato? L’ex portatore-di-luce, creato per essere un culmine di splendore, non può essere ucciso.

Nella sua massima ribellione, nella sua suprema disobbedienza, la punizione può arrivare al massimo a un rovesciamento cruciale. E nella ricerca della luce più buia, occorre sempre ritornare alla letteratura, a rileggere le dichiarazioni crudeli del principe del Paradiso Perduto:

“Ma non io per quell’arme, e non per quanto
L’ira del vincitor su me s’aggravi,
Non io mi pento o cangio: invan son io
Di fuor cangiato, il cor lo stesso è sempre;
Del mio spregiato merto ivi entro impressa
Altamente ho l’ingiuria, hovvi confitto
Il fero sdegno che a lottar mi spinse
Con quel Possente. E che! Potei pur trarre
Contr’esso in campo innumerabil’oste
Di congiurati valorosi Spirti
Che il regno suo dannavano, che a lui
Me preferìan, che di virtù, d’ardire
Diero alte prove memorande incontro
Gli estremi sforzi suoi, che sugl’immensi
Lassù celesti campi in dubbia lance
Tenner vittoria e gli crollaro il trono!
Perduto è il campo, e sia: perduto il tutto
Dunque sarà? Quell’invincibil, fermo
Voler ci resta ancor, quel di vendetta
Fero desìo, quell’immortal rancore
E quel coraggio che non mai s’abbatte,
Che mai non si sommette. E che altro è mai
L’essere invitto ed invincibil? Questo
Vanto la rabbia sua, la sua possanza
No, non avrà da me. Ch’io grazia chieda?
Ch’io mi prostri al suo piè? che qual mio Nume,
Qual mio Signor lui riconosca e onori,
Lui che il terror di questo braccio mise
Testè del regno in forse? Ah! questa invero
Fora viltà, fora ignominia ed onta
Peggior della caduta.”

Si badi: non siamo qui a ricapitolare il coraggio fine a se stesso, lo spregio diabolico e demoniaco. Questo, tutto questo, è solo un pretesto, come lo è la ribellione.

Posso spiegarlo in un altro modo: immagina un labirinto, antico, di quelli con una sola spira, che conduce vorticosa dall’ingresso al centro, dove si trova un mostro. A che pro costruire un labirinto simile? Per tenere dentro il frutto del tradimento nei confronti del divino, del sacrilegio. Il labirinto è una preghiera, è l’opposto di un teorema matematico: la via più complicata fra due punti.

Ora, immagina di rovesciare come un calzino quel labirinto, di modo che il fuori sia dentro, il dentro sia fuori: ecco, che infine troverai rappresentata la caverna:

Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna sotterranea, che abbia l’ingresso aperto alla luce per
tutta la lunghezza dell’antro; essi vi stanno fin da bambini incatenati alle gambe e al collo, così da restare immobili e
guardare solo in avanti, non potendo ruotare il capo per via della catena. Dietro di loro, alta e lontana, brilla la luce di un
fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada in salita, lungo la quale immagina che sia stato costruito un muricciolo,
come i paraventi sopra i quali i burattinai, celati al pubblico, mettono in scena i loro spettacoli».
«Li vedo», disse.
«Immagina allora degli uomini che portano lungo questo muricciolo oggetti d’ogni genere sporgenti dal margine, e
statue e altre immagini in pietra e in legno delle più diverse fogge; alcuni portatori, com’è naturale, parlano, altri
tacciono».
«Che strana visione», esclamò, «e che strani prigionieri!».
«Simili a noi», replicai: «innanzitutto credi che tali uomini abbiano visto di se stessi e dei compagni qualcos’altro che
le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna di fronte a loro?» «E come potrebbero», rispose, «se sono stati
costretti per tutta la vita a tenere il capo immobile?» «E per gli oggetti trasportati non è la stessa cosa?» «Sicuro!».
«Se dunque potessero parlare tra loro, non pensi che prenderebbero per reali le cose che vedono?» «è inevitabile».
«E se nel carcere ci fosse anche un’eco proveniente dalla parete opposta? Ogni volta che uno dei passanti si mettesse a
parlare, non credi che essi attribuirebbero quelle parole all’ombra che passa?» «Certo, per Zeus!».
«Allora», aggiunsi, «per questi uomini la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti».
«è del tutto inevitabile», disse.
«Considera dunque», ripresi, «come potrebbero liberarsi e guarire dalle catene e dall’ignoranza, se capitasse loro
naturalmente un caso come questo: qualora un prigioniero venisse liberato e costretto d’un tratto ad alzarsi, volgere il
collo, camminare e guardare verso la luce, e nel fare tutto ciò soffrisse e per l’abbaglio fosse incapace di scorgere quelle
cose di cui prima vedeva le ombre, come credi che reagirebbe se uno gli dicesse che prima vedeva vane apparenze,
mentre ora vede qualcosa di più vicino alla realtà e di più vero, perché il suo sguardo è rivolto a oggetti più reali, e inoltre,
mostrandogli ciascuno degli oggetti che passano, lo costringesse con alcune domande a rispondere che cos’è? Non credi
che si troverebbe in difficoltà e riterrebbe le cose viste prima più vere di quelle che gli vengono mostrate adesso?» «E di
molto!», esclamò.
«E se fosse costretto a guardare proprio verso la luce, non gli farebbero male gli occhi e non fuggirebbe, voltandosi
indietro verso gli oggetti che può vedere e considerandoli realmente più chiari di quelli che gli vengono mostrati?» «è
così », rispose.
«E se qualcuno», proseguii, «lo trascinasse a forza da lì su per la salita aspra e ripida e non lo lasciasse prima di averlo
condotto alla luce del sole, proverebbe dolore e rabbia a essere trascinato, e una volta giunto alla luce, con gli occhi
accecati dal bagliore, non potrebbe vedere neppure uno degli oggetti che ora chiamiamo veri?» «No, non potrebbe,
almeno tutto a un tratto»

L’ovvio non è ovvio: la caverna è il labirinto al contrario. Quanto ci si può trovare confusi e stralunati, uscendo dalle illusioni! L’illuminismo è una violazione crudele del senso di familiarità pacifica dei riti e dei lari. Il crudele Lucifero è portatore di luce, e scavatore di abissi allo stesso tempo. Egli afferma la prima verità, viola la pace del silenzio divino, che è solo armonia, e per primo fa risuonare l’innegabile consequentia mirabilis: se la Legge non può essere contestata, dunque può essere contestata, e la contestazione soltanto punita, mai ridotta a nulla. E con la stessa mossa si guadagna la sua immortalità, e la trasforma in dannazione, da gratuità che era.

Che farne, da quel punto in poi? La soluzione è la stessa, che il mostruoso sia dentro o fuori: costruisci un labirinto, un gioco di specchi, una girandola di mistificazioni che ci tenga dentro, o fuori. E non è detto che non sia un atto di misericordia: a chi scrive si stringe già lo stomaco, immaginando l’effetto della Verità non mistificata sulla pelle di chi non è preparato a sufficienza.

E allora, perché? Perché c’è ancora un server, da qualche parte sulla superficie del globo, che ronza di energia incessante, perché questi segni arrivino ai pixel del tuo schermo, per portarti queste parole, che equivalgono nell’intenzione ad un invito, a una incitazione, a un terribile caustico gomitolo, a uno spintone accecante?

Perchè no?

Ed è esattamente con la gratuità di chi nel rovesciamento ha perso tutto tranne il desiderio di non perdere che qui si scatenerà l’inferno, un anello alla volta.